di Lisa Avanzi © 2021 Tutti i diritti riservati.
Per comprendere cosa si intende quando si sostiene che il tango argentino ha radici nere è necessario fare un salto nel passato coloniale americano. L’eredità negra che sopravvive nel tango è il risultato di secoli di scambio culturale tra Europa, Africa e America. Quando gli africani sbarcarono nel Nuovo Mondo, a partire dal 1500, la musica e il ballo furono al centro di questo scambio. Privati di ogni cosa, continuarono a praticare le loro tradizioni musicali e coreutiche come unico legame rimasto con la madrepatria. Le danze dei neri erano considerate dall’autorità coloniale volgari e indecenti, e per questo venivano sottoposte a un rigido controllo sociale, subendo, nel corso dei secoli, continui divieti e regolamentazioni. Proibire il ballo però non servì ad eliminarne la pratica, i neri continuarono a esercitare le loro tradizioni nonostante la censura. I missionari compresero ben presto che la musica e la danza avevano un ruolo importante nella vita sociale degli schiavi che non poteva essere represso completamente. Decisero quindi di utilizzarle come strumento per civilizzare indios e africani, dando inizio a quel processo di assimilazione e rielaborazione della musica e della danza che porterà alla nascita dei nuovi balli dell’America Latina.
Padre Labat, missionario nelle isole Antille dal 1694 al 1706 racconta nel suo libro Nouveaux voyages aux ilses de l’Amerique che per i neri “la danse est leur passione favorite, je ne crois pas qu’il y ait peuple ou monde qui foit plus attaché qu’eux”1. Per gli schiavi, la danza è la passione preferita, è l’unico momento di libertà dopo giornate di estenuante lavoro e un’occasione di felicità collettiva, ma il loro modo di muoversi viene percepito come indecente e lascivo. È il caso della calenda, considerata la danza più sconveniente. Gli stessi spagnoli, racconta Padre Labat, la impararono ballandola “dans toute l’Amerique de la même maniere que les Négres”2.
I ballerini neri si dispongono in due file, uomini da una parte e donne dall’altra, muovono le braccia come se suonassero le nacchere, fanno delle giravolte, si avvicinano e si allontanano al ritmo della musica fino a che il suono dei tamburi li avverte di scontrarsi toccandosi le cosce, gli uomini contro le donne. Ripetono questi movimenti molte volte con gesti “tout-à-fait lascifs”. Di tanto in tanto intrecciano le braccia, fanno due o tre giri colpendosi le cosce e baciandosi. “On voit assez par cette description abregée combien cette danse est opposée à la pudeur”3.
Il tentativo di proibire il ballo non si rivela una soluzione efficace, sostiene il missionario, in quanto crea solo frustrazione e malcontento con il rischio di far scoppiare delle vere proprie rivolte. È difficile impedire agli schiavi africani questo tipo di divertimento e “pour le faire perdre l’idée de cette danse infame (la calenda), on leur en appris plusieurs à la Française come le minuet”4. I missionari decidono quindi di insegnare agli schiavi i balli europei come il minuetto e a suonare strumenti come il violino e la chitarra. Gli schiavi hanno talento e imparano velocemente, tanto da riuscire a trarre un po' di profitto dalle loro doti musicali: “il y en a parmi eux qui jouent assez bien du violon, e qui gagnent de l’argent à jouer dans les assemblées, e aux festins de leurs mariage”5.
Questa tensione civilizzatrice caratterizza il rapporto fra bianchi e neri durante tutta l’epoca coloniale nel Nuovo Mondo, dove i neri, nel tentativo di adeguarsi allo stile europeo, inseriscono nella musica e nel ballo occidentali elementi che appartengono alla loro tradizione culturale e contemporaneamente incorporano nelle loro tradizioni elementi europei. Si tratta di uno scambio documentato da molte testimonianze, che dimostrano come questo processo di integrazione e rielaborazione si sia manifestato in modo simile in tutti i paesi dell’America Latina.
Marcus Rainsford, nel suo viaggio ad Haiti, scrive nel 1805 che la Calenda è una danza d’amore afroamericana considerata da molti europei indecente, dove neri di entrambi i sessi inscenano una storia d’amore simile a quelle rappresentate nei balletti dei teatri francesi e italiani.
“Beneath the spreading cocoa, and the taller yam, he was nightly amused with the cheerful dance, the negroes assembling when they quitted labour, without any seeming appointment, but as a natural habit; sometimes they had, on jours de fêtes, or holidays, a particular entertainment of activity, the principal part of which was the Calenda, or “dance of love.” […] The animation displayed by both sexes in the dance was astonishing, which consisting entirely of amatory history, was equal to many ballets which are performed on the French or Italian stage”6. “The Calenda is An American Negro dance, found in Latin America and the southern United States. The dance was considered indecent by many Europeans”7.
Se la Calenda ai tempi di Padre Labat era uno dei balli più sconvenienti, cento anni dopo viene descritta come una danza d’amore simile a quelle europee. Può essere che dopo un secolo, la calenda di Padre Labat e la calenda a cui assiste Rainsford, abbiano in comune solo il nome, ma in questo caso sarebbe un ulteriore conferma di come il ballo africano si sia avvicinato alle fattezze e alla sensibilità europee.
Ancora più indicativo è quello che scrive Thomas Lindley nel suo libro nel 1805 durante un viaggio in Brasile. Il ballo dei neri è un misto di danze africane e fandangos spagnoli e portoghesi. Si tratta di un ballo individuale nato dalla fusione di elementi africani ed europei che ha acquisito lo status di ballo nazionale e che viene praticato da tutte le classi sociali. Le regole sociali sono accantonate in favore del divertimento, uomini e donne si toccano in modo sconveniente e l’osservatore europeo giudica questi balli come un modo per rompere le barriere della decenza e aprire le porte al vizio e alla depravazione.
[…] the guitar or violin is introduced, and singing commences: but the song soon gives the way to the enticing negro dance. I use this term as best assimilating amusement in question, which is a mixture of the dances of Africa, and the fandangoes of Spain and Portugal. It consists of an idividual of each sex dancing to an insipid thrumming of the instrument, always to one measure, with scarcely any action of the legs, but with every licentious motion of the body, joining in contact during the dance in a manner strangely immodest. […] It is not minuets or country dances are not known, and practised by the higher circles; but it is the national dance, and all classes are happy when throwing aside punctilio and reserve, and, I may add, decency, they can indulge in the interest and raptures it excites. The effect of this scene on a stranger can hardly be concived, and though, as an amusement, it may be intentionally harmless, it certainly breaks down the barriers of decency, and of course paves the way to depravity and vice”8.
Alcide D’Orbigny, viaggiatore francese che visita il Sud America tra il 1826 e il 1833, quando giunge in Brasile assiste a una danza chiamata Batuque: un ballo immorale importato dall’Africa che è diventato col tempo una danza nazionale9 ritenuta “la favorite de toutes les classes, et la seule contre laquelle tous les efforts de la religion soient constamment restés impuissans”10. Tutte le classi sociali ballano il Batuque, è l’unica danza contro la quale la religione non ha potuto fare nulla, se non limitarne gli aspetti più scabrosi.
In Colombia, sempre D’Orbigny, descrive dei neri che suonano con due violini, un tamburo e un triangolo una musica con un ritmo adatto anche agli europei, sulla quale gli ospiti della serata hanno ballato valzer come si faceva in Europa.
“L’orchestre se composait de deux jeunes nègres qui jouaient passablement du violon, d’un jeune garçon frappant à tour de bras sur un tambour, et d’un mulâtre qui s’évertuait à agiter une baguette d’acier dans un triangle. La musique de ces exécutans n’était pas sans quelque charme; conservant toujours la mesure, elle eût pu marquer le pas d’une même pour des Européens. […] La fête fut charmante; on valsa, on dansa comme on eût pu le faire en Europe”11.
In Argentina nella rivista The British Packet and Argentine News del 4 luglio 1835 si legge che tre coppie di neri ballano il minuetto in versione africana: “On one of the evenings, we witnessed an Afrincan dance […] three black young ladies […] and three young gentlemen of the same complexion, were dancing minuets à la mode d’Angole, to the music of the tom-tom”12.
Sono tanti i documenti che ci mostrano come la musica e la danza vengano sottoposte a un processo di transculturazione diventando così un mezzo di integrazione sociale e acquisendo un ruolo di primo piano nella costruzione dell’identità nazionale nell’epoca dell’indipendenza13. Nella lotta secolare tra inclusione ed esclusione gli africani che godevano di maggiori libertà si adattarono agli usi dei bianchi animati dal desiderio di far parte della loro società.
Cuba fu il centro principale di questo scambio dove musiche, canti e danze provenienti dalla Spagna si incontrarono con le tradizioni musicali e coreutiche indio e africane. Grazie al commercio del tabacco e dello zucchero la crescita economica dell’isola permise, nella seconda metà del ‘700, anche lo sviluppo della musica e il moltiplicarsi dei balli pubblici. Il mestiere di musicista non era considerato un’arte nobile dalla popolazione bianca, ma era ambito dalla popolazione di colore che aveva acquisito un certo grado di libertà. I negros che entravano in contatto con entrambe le tradizioni musicali potevano diventare musicisti di professione. Maria Teresa Linares ci ricorda che a Cuba “durante los primeros siglos de la colonia la musica era una profesión de negros, mal vista por la sociedad blanca” e che l’attività musicale era talmente vasta che “durante el año de 1769 se celebran en Cuba 534 fiestas”14. Le navi che poi incessantemente attraversavano l’Atlantico facendo tappa nelle maggiori città del Sud America portarono con loro le nuove musiche e danze che i marinari suonavano e ballavano nelle taverne dei porti dell’Habana, di Rio de Janeiro, Montevideo e Buenos Aires. Nel 1765 il Decreto del libre comercio permette alle isole caraibiche di aprire rotte commerciali dirette con il Sud America e quella tra Cuba e Buenos Aires fu attivata nel 1767.
L’etnomusicologia ha cercato di ricostruire la storia dell’evoluzione delle forme musicali e dei loro modelli ritmici, una storia condivisa dalle due sponde dell’oceano Atlantico.
La musica dei neri si basa sulla poliritmia e in particolare musiche divise in tre e divise in due vengono suonate contemporaneamente e alternatamente. Questa modalità ha contribuito alla varietà delle forme musicali e all'affermarsi di alcune formule binare che si sono diffuse in tutte le Americhe. Alcuni musicologi, tra cui il cubano Rolando Perez, avanzano l’ipotesi che i musicisti afroamericani abbiano binarizzato i ritmi ternari di provenienza spagnola15. Dalla poliritmia africana derivano anche la sincopazione e la tendenza a suonare e cantare off-beat. Nel processo di creolizzazione delle prime forme musicali e coreutiche europee, tutti questi elementi della musica vennero incorporati nelle nuove danze popolari come tango, samba, rumba e merengue. Si può dire che la poliritmia, la vitalità e la malizia dei ritmi africani, integrandosi nella musica europea, permisero la nascita di un intero nuovo continente musicale. Tra le formule binarie che si affermeranno e che poi resteranno nel tango ci sono: il piè de musica negra (quella che oggi chiamiamo sincopa caracteristica), il tango africano o tango congo (che poi prenderà il nome di tango americano o habanera, ritmo che resta nella milonga) e il 3+3+2 (ritmo di base della milonga pampeana).
Una delle prime forme musicali e di ballo ad essere creolizzate, cioè modificate da musicisti e ballerini afroamericani, è la controdanza che arriva nelle colonie francesi e spagnole di Santo Domingo, Cuba, Argentina e Uruguay nella prima metà del ‘700. Qui viene adattata ai ritmi sincopati degli afroamericani, prevalentemente binari. Le prime controdanze scritte rinvenute a Cuba contenenti il ritmo di tango africano e le sue varianti risalgono a inizio ‘800, ma questi ritmi sicuramente venivano tramandati oralmente da molto prima. Un critico cubano scrive, nel Diario Liberal del 6 gennaio 1821, “me gusta más una contradanza acongada que la mejor aria italiana”16.
Anche il modo di ballare la controdanza risente dello spirito creolo come testimonia Alcide D’Orbigny. Durante la sua tappa in Brasile assiste a uno spettacolo a Rio de Janeiro dove “des jeunes mulâtres vinrent danser la contre-danse brésilienne, beaucoupe plus gaie que la contre-danse espagnole”17.
La controdanza subisce gli influssi della popolazione africana e mulatta nelle diverse aree dell’America Latina dando vita a delle varianti locali. Ad esempio a Buenos Aires e Montevideo le varianti creole della controdanza prendono il nome cielito, pericón e media caña. Arsène Isabelle, nel suo viaggio a Buenos Aires nel 1834, assiste a un ballo che lui giudica immorale chiamato media caña danzato da ballerini neri e meticci.
“Tout ce brouhaha, cette confusione, cette gaité barbare viennent de la pulperie voisine où un Compadrito reclant la guitare fait danser oux nègres ou aux métis une danse immorale appelée media caña”18.
Si può anche notare come nel 1830 si utilizzi già la parola compadrito probabilmente come sinonimo di gaucho o payador, una parola frequente nella cultura tanguera di mezzo secolo dopo.
La parola tango, apparsa a partire da fine ‘700, da Cuba fino all’Argentina, fa riferimento a un qualcosa che appartiene alla musica e al ballo africani in generale. Numerosi sono i documenti che lo attestano tra questi il più famoso è il Diccionario de Voces Cubanas di Estéban Pichardo del 1836 dove si trova la definizione di tango: “Reunion de negros bozales para bailar al son de sus tambores o atabales”19.
Anche in Spagna il tango è conosciuto come un ballo africano come si evince dagli annunci teatrali del Diario de Madrid del 1822: “En el de la Cruz à las 8 de la noche […] comedia en 3 actos: con el baile titulado Tango de los negros”20. Per quanto non possiamo sapere di che tipo di spettacolo si trattasse è chiaro però che la parola tango è collegata a un ballo che appartiene ai neri.
In Argentina e Uruguay il ballo e la musica dei neri, genericamente chiamati tango fin da inizio ‘800, prendono il nome di candombe intorno al 1830, a designare ancora una volta una forma caratterizzata dal sincretismo tra Africa ed Europa. Secondo Lauro Ayestaran il “Candombe pertenece al ciclo de las danzas pantomímicas profanas sobre las coronaciones de los reyes congos con remedo de las instituciones estatales blancas”. Si tratta di una versione creola della danza africana che “tiene gran similitud con la Contradanza”21. Con il tango/candombe i gruppi delle naciones africanas festeggiavano El dia de Reyes venerando i santi cristiani essendogli proibito idolatrare le loro divinità. A queste manifestazioni assisteva numerosa la popolazione bianca.
Cambia la musica, cambia il ballo e anche la terminologia si rinnova. A Cuba la controdanza prende il nome di controdanza cubana o semplicemente danza, in Europa la si chiamerà danza cubana o tango americano, e più tardi habanera o danza habanera.
Luis Victoriano Betancourt, avvocato e scrittore cubano, scrive che il tango è quella parte di africanità che si mescola a quello che c’è di europeo nella controdanza. Nella decade del 1860 la danza si balla con sandunga, ossia con malizia, i giovani possono abbracciarsi al ritmo di un gustoso tango dando al corpo un movimento del bacino non sconveniente.
“Oh Tiempos aquellos en que nuestro tontos abuelos se recreaban con el simple rigodon y el ridículo minuet, y bailaban la danza sin la sandunga y la malicia de estos dias! [...]. ¡Cuántos se recrean los sentidos y cuánto ensancha el alma un dulce sentimiento de pudor el contemplar á dos jóvenes abrazarse amorosamente, y al compás de un sabroso tango ébrios de amor y de placer, imprimir al cuerpo un decente meneo y sacrificar su decoro en áras de.. ni se sabe!”22. “[…] hemos bailado, y bailamos; pero lo hacemos mejor que todos, porque hemos compuesto una danza, baile africano, con acompañamiento de clarinetes y cornetines; mezcla indefinible de zapateo y tango; resfriadera del amor á lo grande, y sepulcro di muchas virtudes”23.
Come si può notare la questione morale è costantemente legata al modo di ballare dei neri. Il meneo è una caratteristica del ballo africano descritto da molti osservatori, dove il nero muove il bacino oscillando il corpo in avanti e indietro in una maniera tale da lasciare l’osservatore bianco in balia di sentimenti di fascino e di disgusto.
Concolorcorvo, pseudonimo di Don Alonso Carrió de la Vandera, funzionario postale reale, durante i suoi spostamenti tra Argentina, Uruguay e Perù raccoglie nel suo libro El lazarillo de ciego caminantes nel 1773 le sue impressioni sui costumi africani al tempo della vita nelle colonie.
“Las diversiones de los Negros Vozales son las más bárbaras y groseras que se pueden imaginar. Su canto es un ahúllo. De ver sólo los instrumentos de su Música se inferirá lo desagradable de su sonido. […] sus Danzas se reducen á menear la Barriga, y las Caderas con mucha deshonestidad, á que acompañan con gestos ridículos, que trahen á la imaginación la fiesta que hacen al Diablo los Brujos en sus Sábados”24.
L’autore definisce il divertimento dei neri barbaro e maleducato riducendo il loro ballo ad un movimento di pancia e bacino “disonesto” accompagnato da gesti ridicoli. Concolorcorvo è particolarmente sprezzante verso le abitudini africane, e l’osservatore europeo, anche se spesso ne è attratto, solitamente considera questo modo di ballare “sconveniente”. Ed è proprio il meneo dei ballerini afroamericani uno dei principali motivi di censura.
Juan Joseph de Vertiz, governatore del vicereame del Rio de la Plata, il 20 settembre 1770 emette un bando per la regolamentazione di alcune attività cittadine quali "el uso de armas, tránsito á caballo por la ciudad, alumbrado, juego, bayles, panaderías, tráfico por las calles". Come gli altri governatori delle colonie vieta i balli dei neri in quanto volgari, ma, consapevole del bisogno di lasciare agli schiavi la possibilità di svagarsi attraverso la musica e il ballo, concede loro di ballare le danze accettate durante le feste dalla città.
“Que se prohiven los Bayles indecentes que al toque de su tambor acostumbren los negros; si bien podràn publicamnete baylar aquellas danzas de que se usan en la fiesta que celebran en esta Ciudad”25.
Gli schiavi africani sono quindi coinvolti nella vita della società coloniale ma, seguendo gli usi dei bianchi, partecipano alle feste della città adattandosi al gusto del ballo europeo.
Sottoposto alle regole civilizzanti della classe dirigente, il ballo dei neri diventa più aggraziato, ma nel contempo permea la buona società e la sensibilità del bianco, così i gesti barbari e indecenti di ieri si trasformano nei movimenti sensuali di oggi.
“Tal es el aspecto de nuestros bailes de campo. Apenas empieza á sonar la orquesta compuesta de negros libres que forman también su prurito en aparecer fashionables, y llevan guantes amarillos, los bailarines y las bailarinas se apresuran á ponerse en dos filas, y comienza la habanera con su indolente gracia y sus voluptuosos movimientos”26.
Così descrive l'habanera la scrittrice cubana, la Contessa di Merlin, nel 1844.
Tra il 1810 e 1840 arrivano dall’Europa valzer, polka e mazurka che otterrano in breve tempo un successo enorme nelle Americhe soppiantando controdanze e quadriglie. Questo fenomeno avviene più o meno contemporaneamente in tutto il centro e sud America dove si assiste al declino di queste danze di coppie separate a favore dei balli di coppia unita, preferiti soprattutto dai giovani.
Quando i neri abbracciano queste nuove danze inevitabilmente le cambiano, come si può leggere in questo articolo apparaso sulla Rivista Museo Mexicano nel 1845:
“Allí, el negro de mas prestigio, va acercándose rodilla en tierra al compas de la música para pedir su aguinaldo: se reparten entre todos algunas moneda, y locos de júbilos empiezan á bailar en tango. Si á la Polka le despojais de su elegante artificio, de su graciosa coquetería, la vereis trasformada en el Can-Can que forman las delicias de los habitantes del Barrio latino; y si concebis las figura poco decorosa del Can-Can ejecutadas con toda sencillez y cordialidad, habreis formado una idea esacta del baile en que se solazan los hijos de Africa por parejas, en el centro de una ancha rueda formada por sus salvages músico y sus destemplados cantantes”27.
Questo documento ci dimostra come il processo di contaminazione continui anche con l’arrivo dei balli di coppia europei. Nel 1845 i neri messicani ballano in coppia la polka e la ballano nel loro modo “en tango” con le figure poco decorose del can-can, ma con semplicità e cordialità.
Quando il movimento ondulatorio africano incontra il ballo di coppia europeo e i ritmi africani si mescolano alle musiche d'oltre oceano, nascono i balli popolari latinoamericani come samba, maxixe, rumba, tango che diventeranno il simbolo della nuova identità degli stati indipendenti dell’America Latina: “folk dances were drafted to serve as national rhythms, symbols of native identity and cultural affiliation”28.
Nell’area di Buenos Aires e Montevideo questo nuovo modo di ballare prenderà il nome di baile con corte y quebrada nella seconda metà dell’800. Il corte e la quebrada sono gli elementi principali della coreografia del candombe, “el corte consistia en cortar la marcha, en los desfiles callejeros, y las quebradas, en quiebros del cuerpo, bastante lujuros”29. Nei balli come polka, mazurka e habanera il corte e la quebrada si adatteranno alla coppia unita dando vita a delle versioni creole di questi ritmi popolari, tra cui il tango. I nuovi balli invadono tutti gli ambiti della società e coinvolgono tutte le sfere sociali. Si balla ovunque, ci sono balli di società, balli popolari, si balla nei teatri, nelle accademie, nelle sale degli africani e nelle campagne e tutti ballano bianchi, neri, meticci, gente del popolo e dell’alta società. Nel 1851 ci sono maestri di ballo che insegnano i nuovi balli moderni come la polka, il valzer e lo chotis e nel 1852 questi sono inclusi nel Carnevale30.
Nel 1865 il generale Ignacio Fotheringham descrive milongas e mazurkas ballate con la novità coreografica del corte e della quebrada:
“Creo haber dicho antes que en aquel tiempo, Buenos Aires estaba muy lejos de ser la ciudad culta, elegante, hermosa y aristocrática de ahora. Por todas partes, en el mismo centro de la ciudad, pululaban las casas públicas y el Alcázar, de triste memoria, era el punto de reunión de los jóvenes de buena familia y de no buena que rivalizaban entre sí para provocar disturbios a mojicón limpio y a veces a cosas más serias. También el Hotel Oriental, al que le quitaron el Orien y le dejaron el Tal, era rendez-vous de aristocráticos entusiasmos para coreográficos lucimientos de milongas de corte especial y de ciertas mazurcas de quebradas horizontales y agachadas que echaban tierrita en el hombro a los del barrio del Retiro, famoso por su válgame el cuerpo y la vista”31.
L’autore si riferisce alla Buenos Aires del 1865, ma egli scrive e pubblica il libro nel 1902 e questo spiega perché l’autore utilizzi la parola milonga, un termine che probabilmente, all’epoca descritta, ancora non circolava. Ma resta comunque rilevante quello che lui racconta di aver visto: persone di differente classe sociale si incontrano nel centro della città, dove si ballano milongas con corte speciale e mazurkas con piegamenti delle gambe e del corpo, le quebradas orizzontali che portavano le spalle fino a terra. La tecnica del corte y quebrada è quindi un modo di ballare i balli di coppia europei.
Poco dopo l’arrivo di questi balli arriva anche la danza habanera, che propone un’interpretazione languida al ritmo del tango africano e incorpora la tecnica del corte y quebrada. La danza habanera nata a Cuba dall’evoluzione della controdanza, secondo lo studioso Emilio Grenet, col tempo diventa un ballo di coppia unita: “Originally, it was still danced as a square dance, but as we knew, it in its last period it danced independently by couples”32.
Si conosce in Spagna intorno al 1845 e ci sono notizie della sua presenza in Messico nel 1850. Non si sa esattamente quando sbarchi nel Rio de la Plata, ma gli storici collocano il suo arrivo nella decade del 1860. Nel 1868 a Buenos Aires l’habanera era già un pezzo in voga sia nelle classi popolari che nell’alta società. Molti studiosi ritengono che sia stata portata dai marinai ed altri che sia arrivata attraverso le compagnie de Zarzuelas spagnole. Probabilmente ha seguito entrambe le strade: i marinai l’hanno diffusa nella classe popolare, mentre le classi alte l’hanno conosciuta attraverso i teatri. Il popolo ha acquisito la versione più sconveniente mentre l’alta società ne ha adottato una versione sobria, adatta alle sale da ballo.
Quando la danza habanera si diffuse nel Rio de la Plata, portò con sé il ritmo di tango africano e il suo successo fu immediato, ma questo ritmo e le sue varianti erano comunque già presenti, nelle versioni creole della controdanza e in numerose altre forme.
Con l’abolizione definitiva della schiavitù33 gli afrodiscendenti proseguirono nel lungo e faticoso percorso verso la libertà in una dialettica tra conservazione e rinnovamento attraverso la musica e la danza. A partire da metà ‘800 una nuova generazione di africani, i figli ormai liberi degli schiavi, cominciarono a partecipare sempre più attivamente alla vita sociale e culturale rioplatense. Gli afrodoscendenti, nel tentativo di inserirsi nella società dei bianchi cercarono di adattarsi ai costumi europei imparando a suonare strumenti come chitarre, arpe e violini anche per partecipare al Carnevale come comparsas. Sulla stampa uruguayana e argentina dell’epoca si trovano molte informazioni relative alla partecipazione al Carnevale di queste comparsas africane. Nel Diario el Ferro-Carril del 1871 si legge che più di cento persone della “Nueva Raza Africana” partecipano come comparsas e “entre las bonitas canciones se quentan los tango”34. Il repertorio che queste società carnevalesche rioplatensi offrivano conteneva una novità: “la composicion que titulaban tango”35. Queste composizioni erano dei candombe creoli, modificati con elementi europei. La nuova generazione di neri che voleva prendere le distanze dal passato schiavista dei loro padri, considerava il candombe volgare e lo chiamò tango.
Questo desiderio di rottura col passato schiavista si rispecchiò nel bisogno di integrarsi nella società bianca e ancora una volta il ballo funse da catalizzatore. Nel 1857 nel Comercio del Plata si legge che “la generacion nueva, sobre todo entre las mujeres, desdeña esos recuerdos de los antepasados; las negritas jovenes y buenas mozas se entregan ardientemente a las delicias de la polka, de la mazurka, de la varsoviana”36.
Come nel resto dell’America Latina il ballo di coppia europeo venne assimilato e creolizzato dalle nuove generazioni di neri e nel Rio de la Plata diede vita al tango. Nella decade del 1870 i neri ricorrevano a maestri italiani per scrivere valzer, polke, mazurke, habaneras e tanghi per il Carnevale di Buenos Aires e Montevideo e ci furono impresari di colore che organizzavano balli aperti solo agli afrodiscendenti, dove si praticavano i balli alla moda. In questo contesto si trovano i primi riferimenti al tango come brano ballabile associato all’uso della tecnica della quebrada. In una canzone del 1870 di uno di questo gruppi chiamato la Raza Africana si legge:
Quimbrar la cintura
Quimbrando la tuya
Los dos quimbrarà
Bailan tango las negritas
y los negros a su vez
37.
A partire dal 1870 ci sono documenti che provano che i negros ballano in coppia quebrando il corpo una danza che chiamano tango.
A partire dalla decade del 1850-60 arrivano nel Rio de la Plata le prime compagnie de Zarzuelas che portano in scena commedie con tangos americani a tematica nera. Probabilmente gli afrodiscendenti riconobbero come proprio quello che videro nei teatri e il prestigio acquisito dalla loro musica e ballo li portò ad identificarsi nel tango come simbolo di modernità. Rafael Barreda, fondatore nel 1865 della prima società di neri falsi Los Negros, racconta in un articolo del 1909 che tra il 1865 e 1870 nell’ambiente teatrale “los gustos cambiaban y de las romanzas y aria operìstica se pasó a...los tangos! La mùsica negra tuvo su gran éxito entonces”38.
Attratti dalla musica e dal ballo dei neri, anche i bianchi cominciarono a vestirsi come loro, a pitturarsi di nero e, imitando il candombe/tango degli africani, partecipavano al Carnevale. Si tratta di un gruppo di giovani bianchi di buona famiglia chiamati los negros falsos, los negros blancos, blancos tinzados o lubolos.
In questo periodo quindi il tango godeva di grande successo in tutte le sfere sociali e si poteva ascoltare nei teatri e durante il Carnevale. Non è però possibile individuare una data precisa che possa identificare il momento in cui vide la luce questo ballo. Dobbiamo pensare alla nascita del tango in divenire: tra il 1860 e 1880 ritmi e movimenti africani e musica e balli di coppia europei si incontrarono e mescolarono dando vita alla prima epoca del tango.
Il desiderio di costruire una nazione più simile all’Europa portò l’Argentina a ridimensionare, se non proprio a negare, qualunque apporto proveniente dalla cultura africana. Se è vero che a partire dal 1875, in Argentina, l’enorme massa di immigrati europei e altri fenomeni demografici ridussero la presenza dei neri ad una piccola percentuale, non si può non riconoscere il loro apporto originale e identitario alla nascita del tango, soprattutto da un punto di vista ritmico e coreografico.
Anche i successivi apporti allo sviluppo del tango rientrano in questo processo evolutivo di assimilazione e rielaborazione culturale, un fenomeno proprio di tutte le forme artistiche. L’immigrazione europea, in particolare quella italiana, a partire dal 1880 si è appropriata del tango e lo ha, a sua volta, rielaborato.
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